Innaffiare il giardino
Una cosa che faccio volentieri è innaffiare il giardino. Strano come la coscienza politica influisca su tutte queste operazioni quotidiane. Da dove verrebbe altrimenti la preoccupazione di dimenticare un punto del prato, che quella pianticella lì potrebbe non ricevere acqua o riceverne di meno, che si potrebbe trascurare quel vecchio albero perché ha un'aria tanto robusta? E, che si tratti di erbacce oppure no, tutto ciò che è verde ha bisogno di acqua e ci si accorge di quanto verde c'è sulla terra soltanto quando ci si mette ad innaffiare.
Bertold Brecht, Diario di lavoro 1942-1955, Einaudi, 1976, p. 611.
Le città improbabili - Reuìnda
È detta anche “Città della Moviola”, perché da anni il Governo Locale ha reso istituzionale l’uso di questo strumento per tutti i cittadini che, una volta ogni tre mesi, sono obbligati alla cosiddetta “sessione di verifica”. La sessione dura un giorno intero, si svolge in cabine da un minimo di due a un massimo di cinquanta posti a sedere. I reuìndani si accomodano e possono osservare – grazie a un sistema di ripresa totale che ha registrato tutti i movimenti, tutte le loro azioni e il loro dire, negli ambienti più diversificati – il brano della loro esistenza risalente ai tre mesi precedenti, nei minuscoli dettagli. I più stolti hanno da ridire sul fatto che questo strumento non aiuti affatto a modificare il passato, quelli più attenti sanno che può almeno migliorare il futuro. Guardando i dettagli sfuggiti, riflettendo sui piccoli particolari che la moviola esalta, più d’un reuìndano si è accorto del fatto che non sono mai i grandi errori a distruggere le esistenze, ma piccole omissioni, piccole sbadataggini che messe di fila l’un l’altra, generano grandi disastri. Il minuscolo errore, quello che si annida ogni volta in cui viene da dire “che importanza vuoi che abbia…” Per questo ogni reuìndano puro ama dire che una vita buona è quella tratteggiata da punti di non-ritorno, da piccoli errori fatti una sola, massimo due volte.
(da Le città improbabili, 2009)
Le città improbabili - Aldilàndia
Comprendere un aldilandièse è un’impresa per pochi e l’ascoltatore disattento, per quanto conoscitore della lingua in questione, facilmente può cadere in inganno. Sia chiaro, la lingua di questa città è traducibile, senza particolari difficoltà, in tutte le altre lingue a noi note. Tuttavia questo non basta a comprendere l’aldilandièse, che richiede una particolare attenzione al loro modo precipuo di comunicare. Il fatto è che ogni frase, per un aldilandièse, contiene numerosi messaggi non esplicitati. Se ad Aldilàndia due persone si incontrano in ascensore, l’una dirà probabilmente all’altra: “oggi è una bella giornata”, oppure “che tempaccio…” così come accade forse in molti altri paesi. Il fatto è che questa - apparentemente banale - conversazione, se fatta in un ascensore di questa città, potrebbe asumere i seguenti significati: “ho notato che la tua faccia è un po’ triste, perché non sorridi al sole che ti sorride?” oppure (nel caso del secondo esempio) “sto attraversando un brutto momento, e questo tempo uggioso in qualche modo mi somiglia, e te lo dico prima che me lo possa dire tu…”. L’altro allora, rispondendo a tono, potrebbe dire “eh si, ci voleva proprio…” stando ad intendere “ci voleva proprio che qualcuno si accorgesse della mia tristezza e che mi dicesse una parola di conforto…”, e così via, fino all’arrivo dei rispettivi piani. Lo straniero disattento ha solo assistito ad una formale conversazione in ascensore. I due autoctoni invece, si sono riconosciuti ed hanno insieme colto l’occasione per fare, di un momento banale, l’occasione per un corroborante scambio di emozioni.
(da Le città improbabili, 2009)
Noia da abbaglio
Non so se un giorno i miei racconti riusciranno a tenere col naso per aria un bambino, incollato alle mie parole, fino a farlo sprofondare nel sonno. Per questo, quando posso, cerco di fare quello che faccio con la massima attenzione, di modo che poi possa ricordarmi qualcosa da raccontare. Cose essenziali, da modello/base - il caffé, per esempio, la piega ai pantaloni, la scelta degli ingredienti per cucinare una pietanza, l’incollatura di un francobollo, la risposta a una domanda occasionale - ma fatte nel migliore dei modi, come cose straordinarie, visto che tutto ciò che un tempo sarebbe stato reputato straordinario è ormai così abbagliante e rumoroso da non vederlo né sentirlo più. Questa è la noia, che temo più della peste. Resta allora da esercitare un pizzico di talento nel rendere le cose straordinarie, quelle che guardi sempre, che per vedere devi chiudere un attimo gli occhi, poi li riapri… e le cogli di sorpresa in una posizione diversa da come le avevi lasciate.
Massimo Maraviglia e Nico Di Fiore, Il LA perfetto, 2006.
Piccole scuse
(postato da AnGeLoNeRo per un amico a lui noto, il )
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